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RIVISTA DI CULTURE DI FRONTIERA

Šamšad Abdullaev, la magia uzbeca

Posted by pasha39 su novembre 26, 2007

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Šamšad Abdullaev è nato nel 1957 a Fergana (Uzbekistan). Ha pubblicato le raccolte poetiche “Okraina” [Periferia] (Taškent 1987), “Promežutok” [Intervallo] (S. Peterburg 1992), “Medlennoe leto” [Lenta estate] (S. Peterburg 1997);

nel 2000 è uscito a Pietroburgo il volume di prose Dvojnoj polden’ [Doppio mezzogiorno]. Ha partecipato al congresso internazionale degli scrittori in Finlandia (Lahti, Muccula, 1997 – ha letto una relazione sul tema “La poesia e lo spazio”). Ha al suo attivo centinaia di pubblicazioni su varie riviste dell’Asia centrale, della Russia e di paesi occidentali:  “Znamja”, “Volga”, “Zvezda Vostoka”, “Mitin žurnal”, “Kommentarij”, “Poezija i kritika”, “Rodnik” (Riga), “?ernovik” (New York), “Kollegium”, “Voum”, “Mnogoto?ie”, “Nezavisimaja Gazeta”, “Gumanitarnyj fond”, “Ural’skaja nov’”, “Vestnik novoj literatury”, “Literaturnoe obozrenie”, “Novaja literaturnaja gazeta”, “Tak kak” (Taškent), “Lettres russes”. 
La sfera degli interessi artistici spazia dalla prosa libera frammentaristica ai versi, dalle sceneggiature agli articoli, riguardanti i problemi della pratica poetica contemporanea e della cinematografia (articoli su Antonioni, Rechviašvili, Pierre Casta, Olmi, etc). È autore di sceneggiature per film a cartoni animati “Pauza” [Pausa] (regia di Sergej Alibekov, premio al festival di Annecy), “Lošad’” [Il cavallo] (regia di M. Machmudov, premio al festival del cinema d’animazione a Istanbul).
Nel 1999 per un ciclo di versi sulla nuova cultura ha compiuto un viaggio in Svizzera su iniziativa del Fondo Soros. I testi – versi, racconti, saggi, interviste – sono stati tradotti in finlandese, francese, tedesco e uzbeco.  È stato insignito di vari riconoscimenti: il premio della letteratura indipendente Andrej Belyj (S. Pietroburgo 1993) per il rigore dello stile e il dialogo Occidente – Oriente; il premio “Globus” della rivista “Znamja” e della Biblioteca di letteratura straniera Rudomino (Mosca 1998) per le opere, che possono avvicinare popoli e culture; il premio della rivista “Samvatas” (Kiev 1993); è entrato nella classifica del Piccolo Booker per il lavoro redazionale (Mosca 1999).                                                 
Nel 1998 Šamšad Abdullaev scrive: “Fergana è una valle dimenticata da Dio e dagli uomini, la periferia delle periferie, ma al tempo stesso è un benedetto spazio vuoto, dove del tutto naturalmente risuona qualunque testo poetico (gli oggettivisti americani degli anni Trenta, gli ermetici italiani degli anni Venti, etc.)”.
La scuola poetica di Fergana è nata ufficialmente con questo nome nel 1991, quando sul numero di maggio di “Zvezda Vostoka” [Stella d’Oriente] (rivista di lingua russa edita a Taškent) è stata pubblicata una breve antologia, che comprendeva i testi di Šamšad Abdullaev, Daniil Kislov e Chamdam Zakirov.
Questo originale movimento letterario si inserisce nella tradizione dall’avanguardia degli anni Settanta, costituita da letterati, musicisti e artisti.
La letteratura della scuola di Fergana è un fenomeno ragguardevole, che varca i limiti del mondo centro asiatico. I Russi si sono sempre interessati dell’Asia, ma l’hanno descritta dall’esterno. La scuola di Fergana è un grandioso esperimento, perché la vita asiatica è descritta dall’interno, in un russo originale … Qui anche i gatti si lavano a loro modo: “Il gatto fa amen, come uno sciita che prega con una sola mano”… Certo, Fergana non è solo questa sensazione dell’Asia eterna e pigramente contemplativa, ma in russo nessuno ancora aveva espresso questo nirvana così fedelmente… Versi non come equilibrismo letterario, ma come metodo effettivo per conoscere la vita.
La descrizione dell’oggetto è condotta a un naturalismo estremo attraverso stati d’animo irreali. Spiccano un peculiare lirismo depressivo, l’antistoricismo, l’avversione per l’azione e per la narrazione totalizzante. La realtà sociale si dissolve, l’eticità va in secondo piano. Abdullaev afferma: «la priorità delle immagini visuali, prive di una riflessione complessa, di ricercate astrazioni e meditazioni riguardo ai valori sociali e morali predominanti…”

Dalla raccolta “Medlennoe leto” [Lenta estate] (S.Peterburg 1997)

Vastità a mezzogiorno

Il paesaggio inglese, che lui sognava da dieci anni,
guardando l’angusta alba nella stringa sanguigna davanti al letto.
Lo Yorkshire, Saint-Ives.
I lontani profili delle valli dei minatori.
Stringeva il cuore, colmo di frantumati segreti infausti.
Era sdraiato con i vuoti occhi aperti,
anche se il mondo aveva sporto oltre il suo corpo di fellah
le esili formiche sul bordo di un cucchiaio appiccicoso.
Sul vassoio d’argento poggiava un frutto ondulato,
come se in una tomba di ceralacca si corrompesse a stento la mutezza
delle divinità,
ma nella stanza ribolliva l’aria,
come l’infuocato idolo di stracci, che era riuscito a dividere
due donne furiose con vestiti color pannocchia presso la steppa
rigata,
a sinistra, mentre un nero canale le aggirava accanto alle discariche.
Lui veniva qui ogni estate
e si sdraiava bocconi sul tappeto (lo stesso?),  
come allettato dalla sua quiete intessuta in una stanza disabitata.
Un filo ronzava. Vedevi la polvere delle mosche sulla tavola di alzaia.

***

Epilogo

Il campo, squarciato dalle nubi nella grande distanza,
accanto a un fiume lungo un chilometro, – le gocce
di olio nero già nel terreno di giugno. Per l’ultima volta.
Il suo braccio senza vene tra zampilli di sole sopra la tovaglia domenicale,
ma il caldo vento spinge secchi grumi di cavallo
sulla piazza pianeggiante. Chi sei tu
nel fuoco estivo? Una cicatrice sul collo muscoloso,
sogno contro i sogni, alcuni pesci di fondo,
tu cammini a piedi nudi sul pavimento a piastrelle,
sul bordo del tappeto, accanto a fragili pungiglioni,
accanto alle statuine di mongoli sul piano luccicante.

***

Un film dimenticato degli anni Venti

A completamento di tutto, la fiamma estiva. Né un albero, né una tettoia di assi:
solo un muro bianco, invaso dal fuoco,- sotto di esso si inebetisce
un anemico gatto giallo (sembrerebbe morto,
se non fosse per la spaventosa premeditazione della sua posa). Quale
circondario deserto, permeato dal sole! Forse,
una pericolosa desolazione? Sulla superficie
polverosa e insicura della terra, sulle pietruzze lucide,
sui gradini di calce del muro,
il sole ha dissolto gli insetti – ovunque diversamente.
Tre giovani, come sagome di un altro quadro,
appaiono a destra. Non li aspettavamo forse? Nonostante
la crudeltà della loro condotta, difficilmente lasceranno
graffi sulla commovente fragilità
della pellicola imbrattata. Sventurata pellicola. Tuttavia
non scoppierà, né si romperà nulla: il mondo esiste,
finché qualcosa muove i giovani e loro muovono noi,
quando osserviamo come vagano, attraversando
il paesaggio e talora guardandosi attorno. Sono indifferenti
allo sfondo, alle tracce dell’abbandono – come se
soltanto l’indifferenza potesse
preservare la loro dignità. Vorrei avere
la loro serena fissità e i grigi
sandali francescani. È forse essenziale
che questa sia una “Località presso il fiume Arno”, come annuncia
la scritta sulla stringa superiore del fotogramma muto?
È molto più importante che ora impariamo
a vedere fuori di noi, dove quanto non abbiamo trovato è ormai perso                

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