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RIVISTA DI CULTURE DI FRONTIERA

Archive for gennaio 2009

Rete dei Redattori Precari

Posted by paolo fichera su gennaio 29, 2009

rerepre_2001

Buongiorno,

La Rete dei Redattori Precari comunica la nascita del suo sito web, www.rerepre.org.

La Rete dei Redattori Precari è una libera associazione di redattori e altri lavoratori dell’industria editoriale assunti con contratti atipici che si propone di:
far conoscere il ruolo centrale che redattori precari e affini rivestono all’interno della filiera editoriale;
denunciare il precariato che dilaga in questo settore e che molto spesso viene sottaciuto in nome di una visione edulcorata e mistificata di tutto ciò che concerne l’universo dei libri e della produzione culturale;
avanzare rivendicazioni giuridiche e salariali in un contesto, quello dell’editoria, in cui il mercato del lavoro è totalmente deregolamentato e spesso caratterizzato da situazioni di vera e propria illegalità;
promuovere iniziative di collaborazione e scambio di esperienze con altri gruppi di lavoratori atipici organizzati al fine di creare e diffondere una coscienza condivisa sulla piaga del precariato.

Vi chiediamo di visitare il sito e di far conoscere l’attività della Rete segnalandone l’esistenza nel vostro spazio web. Da parte nostra, ci dichiariamo sin da ora disponibili allo scambio di link.

Grazie mille per il sostegno che vorrete accordarci,
il gruppo di coordinamento della Rete dei Redattori Precari

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La frontiera della poesia: Petr Halmay

Posted by paolo fichera su gennaio 25, 2009

halmay1La frontiera della poesia: Petr Halmay
di Antonella Zambelloni

Sconosciuto in Italia e edito, per la prima volta, grazie a Le Edizioni del Foglio Clandestino, L’impronta del tempo di Petr Halmay è arrivato nel nostro paese quasi in sordina. La letteratura dell’Est, come è noto, è un genere di nicchia e non particolarmente conosciuto. Se a questo si aggiunge un poeta sui generis che ha un pubblico di riferimento ben preciso e non massificato, allora è facile intuire la scommessa che è stata fatta nel pubblicarlo.
La scarsa notorietà però non deve frenare o impedire la lettura, ma deve essere un modo, al contrario, per stimolarla e far riflettere su quanti scrittori circolino al di là del circuito letterario classico e canonico e quanto quindi la poesia, ormai al margine della società contemporanea, abbia ancora qualcosa da dire e da insegnare.
Petr Halmay è nato nel 1958 a Praga e fa parte di quella generazione di poeti cechi che ha dovuto affrontare la censura e la difficoltà dello scrivere all’interno di un regime che proibiva alla parola poetica di esprimersi al meglio. Solo negli anni 90 infatti è incominciata la così detta normalizzazione della libertà di espressione che ha permesso a molti artisti di affacciarsi nel panorama contemporaneo con più facilità.
Quando si legge Halmay bisogna tener presente questo contesto socio-culturale di riferimento, che qui si è solo accennato, perché è indispensabile per capire la portata del testo di questo scrittore, quanto peso abbiano allora le sue immagini e il loro messaggio.
Nelle sue poesie è possibile riscontare un elemento ricorrente, una sorta di leitmotiv costante che appare in tutte le sue sfumature. Ecco allora il dissidio, costante, fra l’io e il mondo, fra la contemporaneità e la ricerca di una pace interiore in un altro mondo, lo scontro fra passato e presente, fra uomo e donna, fra amore e odio: si riscontra sostanzialmente una frontiera all’interno del testo, un luogo che sta al mezzo fra queste contrapposizioni. E il luogo di frontiera è la stessa poesia: l’autore infatti non trova una soluzione all’interno di questi dissidi, ma lascia la strada aperta allo scontro e al dialogo col lettore, chiamato a essere protagonista di questa interpretazione. Leggi il seguito di questo post »

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Come siamo anche stati

Posted by paolo fichera su gennaio 7, 2009

“Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano anche perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno e alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi o petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti fra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro. I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare fra coloro che entrano nel nostro Paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali”.
(…)
“Propongo che si privilegino i veneti e i lombardi, tardi di comprendonio e ignoranti ma disposti più di altri a lavorare. Si adattano ad abitazioni che gli americani rifiutano pur che le famiglie rimangano unite e non contestano il salario. Gli altri, quelli ai quali è riferita gran parte di questa prima relazione, provengono dal sud dell’Italia. Vi invito a controllare i documenti di provenienza e a rimpatriare i più. La nostra sicurezza deve essere la prima preoccupazione”.

Da una relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione del Congresso Americano (ottobre 1912)

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