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RIVISTA DI CULTURE DI FRONTIERA

“Il resto è silenzio” di Chiara Ingrao

Posted by Mauro Daltin su giugno 13, 2007

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Recensione tratta dal sito Osservatorio sui Balcani

Ma perché te la sei presa in casa? Nei giorni della guerra in Libano, Sara, interprete solitaria e introversa, sente per caso queste parole su un autobus e viene aggredita dai ricordi: di quando, nei mesi difficili dopo l’abbandono del marito, viveva con lei Musnida, una collega fuggita da Sarajevo. Ma perché te la sei presa in casa? le ripeteva continuamente sua sorella, allora.
Anche Musnida, aveva una sorella. Come quella di Sara, era una sorella affascinante, molto più bella e più forte di lei. Un’eroina, uccisa mentre tentava di recuperare il corpo di uno dei fratelli, morti combattendo su fronti opposti. L’Antigone di Sarajevo, avevano scritto di lei i giornali, gonfi di retorica. Musnida, invece, era un soggetto imbarazzante: una sorella opaca, come la Ismene di Sofocle.

Eppure anche Ismene ha una sua verità. Una voce antica, che si intrufola a tratti nei goffi tentativi di Sara di decifrare i misteri di Musnida, della sua famiglia, della sua terra; mentre la convivenza si prolunga, fra vicinanza e insofferenza, fra mute nausee e rumorosi congressi, fra l’imbarazzante invadenza della sorella di Sara e l’irritante ticchettio di un computer, dietro una porta chiusa.
Nel faticoso dipanarsi di vita quotidiana e grovigli esistenziali irrisolti, fra le tre coppie di sorelle (quella di quaggiù, quella di laggiù, quella del Mito) rimbalzano come in un gioco di specchi gli interrogativi dell’oggi: le guerre infinite, le barriere che frantumano le identità e la vita, la paura dell’Altro che fa da scudo alla paura di ascoltare noi stessi.

«In silenzio, lei si è fatta spazio nella mia vita, in punta di piedi. In silenzio ha aperto la sua valigia, e ha messo le sue cose nel mio armadio, in bell’ordine. Non c’era altra soluzione, di armadio ne avevo uno solo. Che me ne faccio di tanti armadi? avevo detto a mia sorella, quando me l’aveva fatto notare. Poi però Musnida ci aveva appeso il suo vestito, ed era di seta. Una specie di tunica morbida, azzurro cangiante, tirata fuori con cura da quella sua valigia incredibile: non una cosa che fosse spiegazzata, e il vestito piegato per bene, sopra a tutto il resto… Mi ha dato fastidio, non so spiegare perché.»

Chiara Ingrao, nata nel 1949, è sposata con Paolo Franco e ha due figlie, due figliocci e una nipotina. Di professione interprete, ha lavorato anche come sindacalista, programmista radio, parlamentare, consulente del ministro per le Pari opportunità. È impegnata nel femminismo sin dagli anni Settanta, e nel pacifismo dagli anni Ottanta. Fondatrice dell’Associazione per la pace, ha contribuito alle prime iniziative comuni fra pacifisti israeliani e palestinesi, al movimento contro la guerra in Iraq, alle iniziative di pace e di solidarietà nei Balcani. Per BCDe ha pubblicato nel 2005 Soltanto una vita (firmato con la madre, Laura Lombardo Radice, di cui il libro racconta la vita e raccoglie gli scritti). In precedenza ha scritto: Né indifesa né in divisa (1987, con Lidia Menapace), e Salaam Shalom – Diario da Gerusalemme, Baghdad e altri conflitti (1993); nel 2001 ha curato, con Cristiana Scoppa, il volume Diritti e rovesci – I diritti umani dal punto di vista delle donne, e il sito internet http://www.dirittiumani.donne.aidos.it, saggi, e brani tratti da altri libri, sono scaricabili gratuitamente alla pagina www.chiaraingrao.it.

3 Risposte to ““Il resto è silenzio” di Chiara Ingrao”

  1. DONNE IN EUROPA
    L’integrazione delle differenze
    di LAURA TUSSI
    Riconoscere la soggettività della donna corrisponde a riconoscere anche la differenza: la pari dignità non viene stabilita sulla base di una omogeneizzazione dei due sessi, ma sulla identificazione della differenza come valore. Non si vuole qui fare l’elogio del pensiero della differenza sessuale (che è comunque un momento alto della partecipazione femminile all’elaborazione culturale) ma sottolineare ancora una volta che la rilevazione della differenza sessuale come positività dà diritto di cittadinanza culturale a tutte le altre differenze (etnica, culturale appunto, ma anche di età, di salute, di stato sociale ecc.). Ciò sembra importante soprattutto in un momento in cui le differenze etniche-culturali stanno spaccando nazioni, anche da lungo tempo costruite sull’unione di etnie diverse, in tanti piccoli satelliti.
    Rimane certamente un problema quello delle varie forme di discriminazione e di violenza sulle donne e sulle bambine. Una questione grave è il precariato sul lavoro, il cosiddetto mobbing e la precedenza data al licenziamento, o alla messa in cassa integrazione, delle donne nelle situazioni di chiusura totale o di de-localizzazione delle aziende. Legati al fenomeno dell’immigrazione ci sono i problemi dello sfruttamento e del traffico di donne. Di crescente rilievo sociale, giuridico e morale è la piaga culturale che riguarda quelle donne immigrate le quali, lavorando in particolare quali badanti o infermiere nelle nostre case e nei nostri ospedali, fanno partecipi le nostre famiglie dello stato di disagio in cui si trovano le loro stesse famiglie rimaste nei paesi di provenienza: prive di madri, figlie, sorelle… La sfida del ricongiungimento del nucleo familiare ci coinvolge nel nostro più intimo vissuto quotidiano.
    Partire dai diritti umani delle donne e delle bambine porta a considerare con mente nuova la pratica della socialità, della politica, dell’economia, dell’educare e del formare per un avvenire globale completo. Alla fine non può non scattare una più avvertita consapevolezza del valore della centralità della famiglia, del rilievo e della irrinunciabilità degli essenziali servizi sociali, della necessità di politiche pubbliche sostanziate di adeguate risorse.
    E’ stato grande l’apporto femminile nella crescita globale dell’attenzione e responsabilizzazione verso i soggetti più deboli (bambini, anziani, handicappati) che, essendo un tempo gestiti individualmente dalle donne nell’ambito familiare, poi non venivano presi in responsabilità dal sistema sociale. Altrettanto grande è stato il contributo femminile alla sensibilizzazione verso le tematiche ecologiche, alla tutela e preservazione dell’ambiente, legata anche all’antica consuetudine, come donne, della gestione del quotidiano. Al femminile è la presa di coscienza dei grandi temi della pace, del ripudio della guerra, delle denunce alla violazione dei diritti umani in ogni realtà. Non vi è dubbio che per portare avanti un impegno in prima istanza individuale, una presa di coscienza, e poi collettiva, le donne devono innanzitutto conoscere e riconoscere se stesse per poter chiedere all’alterità un corrispondente riconoscimento. In questo senso le donne devono compiere ancora lunghi percorsi di emancipazione. In alcuni casi debbono creare e ricreare immagini di sé che non hanno avuto, non limitandosi ad un inventario dell’esistente, della realtà di fatto, del contingente.

    Le culture si sono sviluppate sui tentativi successivi degli umani di superare le diversità, di colmare lo scarto, di rendere realizzabile l’utopico. La rivelazione della differenza sessuale come positività, attribuisce diritto di cittadinanza culturale a tutte le altre differenze, etniche, culturali, ma anche di età, intergenerazionali, di salute, di stato sociale. Questo è importante soprattutto in un momento in cui le differenze etnico-culturali sgretolano nazioni, anche da lungo tempo costruite sull’unione di etnie diverse, in tanti piccoli satelliti. La differenza di sesso è forse attualmente quella che subisce i maggiori attacchi. Anche le scienze dimostrano che riconoscersi in un sesso è un processo culturale oltre che fisiologico e psichico. Le elaborazioni del neofemminismo hanno dimostrato che la partecipazione delle donne ai processi culturali è stata di notevole spessore, anche se sotterranea, tacita, priva di protagonismi, quasi ignorata dalle donne stesse.

    Proprio nella quotidianità e non nelle orchestrazioni metafisiche si gioca il senso più rilevante della nostra esistenza, anche come donne. In questo senso Hannah Arendt scriveva con evidente lucidità: “E’ vano cercare un senso nella politica o un significato nella storia quando tutto ciò che non sia comportamento quotidiano o tendenza automatica è stato scartato come irrilevante”.
    Abbiamo come donne forza, tenacia, creatività, capacità di resistenza anche in situazioni di tensione. Abbiamo anche una certa “innocenza” che deriva dal fatto di essere state lontane dai luoghi di potere.

    Abbiamo dimestichezza con le origini della vita e della morte: “sappiamo” per retaggio atavico. Eros e Tanatos trovano ricomposizione nella nostra stessa esistenza.
    Dobbiamo innanzitutto riuscire ad utilizzare le forze positive che si liberano nell’inevitabile conflitto tra i “diversi”, per sesso, per età, per cultura, come stimoli a cambiare, a crescere, neutralizzando la parte negativa del conflitto che si esprime in prevaricazione, ricerca di possesso dell’altro, tentativo di omologazione dell’altrui diversità ad un modello costruito a nostra immagine e somiglianza o per nostro tornaconto.
    Il conflitto sessuale non è a se stante, ma partecipa di una conflittualità che permea tutto il reale, perché è un atto creazionale, proiettato nell’avvenire.
    Laura Tussi

  2. LA DIFFERENZA NELLA PARITA’
    Gli stereotipi dell’inferiorità femminile

    di LAURA TUSSI

    Diversità antitesi di discriminazione

    Gli stereotipi dell’inferiorità femminile all’interno della famiglia, della letteratura, dei media e della politica hanno sempre suscitato un dibattito diffuso relativo ai temi della parità tra i sessi, dei concetti e dei processi di uguaglianza, di pari opportunità, di differenze. Tale processo di elaborazione ha affrontato il tema dell’identità e della diversità di genere.
    E’ difficoltoso individuare un corpus teorico per rispondere alle grandi questioni pedagogiche ed educative, perché molti quesiti si insinuano nelle zone grigie della conoscenza di canoni e impalcature cognitive, si innestano nelle differenti poliedricità dell’esistenza e nelle molteplici sfaccettature della vita quotidiana. Il processo di cambiamento all’interno della società e della cultura è caratterizzato da una complessità di certezze, di dogmi, di origini caratterizzanti l’universo femminile, quale realtà composita di vissuti, storie, esperienze, aspettative in modi privati e politici. Anche l’identità maschile, costellata di stereotipi di virilità, di forza, di durezza, nei vari modi di incontrarsi con l’alterità di genere, agisce ed è agita in un complesso percorso di cambiamento reciproco di diversità tra i sessi. Queste risultano questioni propedeutiche rispetto ai processi formativi in età adulta per partire dall’assunto che identità e differenza sono processi che si costruiscono nell’infanzia e nell’adultità.

    Differenza e oblio

    Il concetto di differenza implica il problema della sua dimenticanza. L’assenza di elaborazione culturale e filosofica della differenza conduce a un oblio tipico del pensiero occidentale dell’unico e dell’unilaterale, per cui la differenza deve essere ancora rielaborata dal mondo occidentale.
    L’identità è posta in crisi dalla diversità. L’uno è l’assoluto, la norma, il logos, sovrano e centrale nell’universo che esiste in quanto la differenza è eliminata ed assorbita. L’alterità è svalutata per la sua connotazione negativa, inferiore, opposta. I “diversi” dal punto di vista sociale costituiscono una minaccia, perché negativi e portatori di caratteristiche contrapposte da eliminare nascondere e sottomettere.
    Le differenze sono sempre state pregiudizialmente additate quali portatrici di “devianze” che determinate culture e sistemi politici considerano in dissonanza con la norma. La categoria della differenza è inserita in un’operazione culturale, in una logica tradizionale, che riscopre nell’alterità valori e significati nuovi aprendo orizzonti di conoscenza e esperienza. Redimere e riscattare la differenza dall’oblio equivale a risignificare il concetto di uguaglianza, per impedire alla diversità di trasformarsi in subalternità e discriminazione.
    L’uguaglianza, deviando e prescindendo dal connotato affine al concetto e valore di differenza, assume il carattere di omologazione, in quanto differenza e uguaglianza non possono essere pensate separatamente.

    Le dualità universali

    Se la dualità non si fonda sul concetto di uguaglianza attribuisce al secondo elemento le caratteristiche negative della differenza. La dualità di genere pone in discussione la soggettività neutra e universale che in sé e per sé comprende la differenza: l’alterità. Il maschile ha pensato il femminile che non ha produzione di pensiero perché le donne sono state per secoli escluse dai canali dell’istruzione e della divulgazione culturale. “Le ambiguità del neutro costituiscono un ostacolo a comprendere che il pensare è sempre al maschile o al femminile, ma soprattutto che si può e si deve pensare insieme”.
    Il maschile paradigma universale dell’umanità, vede il soggetto femminile compreso nel neutro universale “uomo”, per cui l’alterità della donna è fondata al negativo. La diversità femminile è posta in una doppia ambiguità: come neutro universale nella dualità con il maschile e contrapposta all’universale dominante come specificità negativa, inferiore, dipendente.
    La storia, il pensiero, la cultura hanno ostacolato lo specifico femminile, evitando la valorizzazione della positività delle differenze, comportando così il dominio storico sulle donne. L’universo femminile sta elaborando la propria differenza da posizioni subalterne, discriminatorie. Le donne hanno cercato di eliminare la comune ingiustizia di un’inferiorità imposta. La cultura emancipazionistica rivendica la parità e non l’uguaglianza come fattore di omologazione identitaria e l’imitazione di modelli maschili, negando così nelle donne l’identità femminile, quale occultamento del sé con tutto l’annesso patrimonio di cultura, ricchezza interiore, valori, creatività.
    La valutazione positiva dell’archetipo femminile è la base per la costruzione di una corretta eguaglianza, senza annullare le differenze all’interno del conformismo e dell’uniformità. La differenza di genere esclude ogni tipologia di subalternità e discriminazione, costruendo un graduale processo di concepimento del valore dell’uguaglianza fino all’acquisizione del concetto di differenza, quale passaggio difficile e ostacolato, per scarsa considerazione umana, sociale e culturale.
    Laura Tussi

  3. Angela Maria Quercia said

    ma perchè scegliere un titolo già esistente? mi riferisco al romanzo di Erico Verissimo.

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