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RIVISTA DI CULTURE DI FRONTIERA

Nikolaj Kljuev, il regno dell’izba

Posted by pasha39 su marzo 21, 2007

di paolo galvagni

Nikolaj Alekseevic Kljuev nasce nel 1884 a Koštuga, nei pressi di Olonec, nell’estremo Nord della Russia europea, in una famiglia di vecchi credenti (1). Nella casa dei Kljuev vi sono molti libri antichi, manoscritti, icone autentiche. Spesso vi si fermano i pellegrini. L’atmosfera religiosa, che aleggia nella famiglia, e in generale nel Settentrione, determinerà largamente le concezioni del futuro poeta. Nell’adolescenza Kljuev compie lunghe peregrinazioni nei monasteri e negli eremi dei vecchi credenti in varie parti del paese, dal natio Nord al Caucaso. I viaggi in paesi esotici (India, Cina, Persia), di cui egli narra ripetutamente, rientrano in quella finzione letteraria con cui egli ama adornare la propria biografia. Egli partecipa ai fatti rivoluzionari degli inizi del secolo. Diffonde tra la popolazione di Olonec proclami, letteratura marxista, scrive versi civili. Nel 1906 viene imprigionato per sei mesi. I primi versi, pubblicati su riviste pietroburghesi, risalgono agli inizi del secolo.

Kljuev si rivela come poeta nell’autunno 1911, quando, presso un piccolo editore moscovita, esce il suo primo libro “Sosen perezvon” [Scampanio di pini], accompagnato da un’introduzione di V.Brjusov e dedicato a Blok, “Inattesa Gioia”. L’amicizia del massimo simbolista russo avrà un’influenza notevole sul poeta di Olonec. Agli anni ’10 risalgono le sue raccolte migliori : “Bratskie pesni” [Canti fraterni] (1912), “Lesnye byli” [Storie silvestri] (1913), “Mirskie dumy” [Pensieri laici] (1916), “Izbjanye pesni” [Canti dell’izbà]. Tra il 1911 e il 1912 Kljuev collabora alla rivista moscovita “Novaja zemlja” [Nuova terra], organo dei “Cristiani del Golgota”, setta semiclandestina, guidata da Iona Brichnicev, poeta e pubblicista.
 Accoglie con entusiasmo la rivoluzione d’ottobre.Si avvicina al partito bolscevico ed elogia Lenin in alcune poesie.Tuttavia non cambiano le sue concezioni religiose, che contrastano con le nuove tendenze ideologiche, ed egli non viene compreso dalla nuova classe dirigente. “Pogorel’scina” [Terra bruciata], il cui manoscritto verrà portato in Occidente dallo slavista italiano E.Lo Gatto, è il poema più complesso di Kljuev. In esso sono intrecciati vari piani temporali : il medioevo di A.Rublëv si alterna alla contemporaneità e alle epoche “favolose” della mitologia anticorussa. Alla base dell’opera v’è l’inconsolabile dolore del poeta per gli avvenimenti a lui contemporanei.Egli non si riconosce nella nuova realtà. La politica di liquidazione dei kulak (2) colpisce anche Kljuev.Nel 1928 esce il suo ultimo libro “Izba i pole” [L’izba e il campo], dopo di che non riuscirà a pubblicare praticamente nulla. Kljuev è una delle prime vittime delle repressioni staliniane.Viene arrestato il 2 febbraio 1934. Per lungo tempo è circolata una leggenda, secondo cui egli, liberato alla fine degli anni ’30, sarebbe morto per un attacco cardiaco nei pressi di una stazione della ferrovia siberiana. Si è parlato di una valigia piena di manoscritti, misteriosamente scomparsa. In reltà Kljuev viene fucilato a Tomsk nel 1937. Nulla si sa dei testi scritti durante la deportazione.

* * *
La tradizione contadina è già delineata nettamente nella letteratura russa prima di Kljuev. Ma i “poeti contadini” di fine ‘800 più che altro denunciano la condizione oppressa della più ampia classe sociale russa dell’epoca. Dolore e mestizia sono i motivi dominanti nelle loro opere.Il poeta di Olonec parte da un altro punto di vista. Il mondo poetico di Kljuev è il mondo rurale, che nel corso dei secoli si è impregnato di miti, leggende, apocrifi, riti, riunendo in sé il cristianesimo e il paganesimo. Al centro vi sono la campagna, la “madre terra”, Dio, gli angeli, le forze oscure. La Russia agreste e patriarcale è simboleggiata dall’izbà, la tipica casa in legno delle campagne. Nell’opera kljueviana essa appare provvista di un’essenza “mistica”, spirituale.Viene esaltato tutto ciò che si ricollega alla vita contadina: il lapot’ (pl.lapti), la calzatura di fibra di tiglio, la kovrìga, la forma rotonda di pane, il forno.Al poeta si svela il divino e l’eterno nella vita laboriosa dell’izba. La campagna favolosa, descritta da Kljuev, viene arricchita con motivi orientali, ben presenti nella cultura anticorussa. Alcuni testi slavo-orientali medioevali descrivono l’Oriente come la terra feconda, da cui spunta il sole della Vita. Il “regno dell’izba” viene parificato all'”India Bianca”, mitico paese di letizia paradisiaca, che si incontra nel folclore russo. Kljuev scrive in difesa e a nome del popolo, a cui egli conferisce fattezze celestiali.Il “popolo” comprende tutti coloro che vivono in comunione con la natura e con la madre terra, cioè i contadini, i “lavoratori del Signore”. La natura nella poesia kljueviana appare in una veste religiosa:

Nei giorni dorati di Settembre
  Quasi sagrato si mostra il margine del bosco.
  I pini pregano, bruciando l’incenso,
  Sulla tua piccola izba abbandonata.

Si può dire che la visione di Kljuev sia pervasa da un’originale forma di panteismo, che si basa su una sorta di “trinità”: Dio, terra, popolo.
Alla Natura “divina” si contrappone per Kljuev l'”Inferno di pietra”, la città contemporanea.Il conflitto tra civiltà e natura sarà uno dei motivi dominanti di tutta l’opera kljueviana. Ragionando alla maniera di L.Tolstoj, egli attribuisce alla cultura e alla civiltà tutta la responsabilità per l’allontanamento dell’uomo dalla natura. Indicativa a questo riguardo è la poesia “Trud” [Lavoro]:

Allestire un carico di fieno è più saggio
  Che creare “Guerra e pace” o una ballata di Schiller.

Kljuev muove un’aspra polemica contro V. Majakovskij e la sua poesia urbana, estranea al poeta di Olonec. Egli è particolarmente irritato dagli arditi esperimenti del futurismo nel lessico e nella ritmica, che infrangono il verso russo tradizionale. In una poesia del 1921, dedicata al poeta futurista, egli scrive :

Si occuperà il cantore delle gru di sollevamento,
  E avrà i gemiti del martello per attirare i corvi?

Questa crociata contro la cultura urbana determina largamente le concezioni rivoluzionarie kljueviane : non si tratta di cambiare forme e condizioni di lavoro, ma di sostituire la campagna alla città. La “rivoluzione popolare” , per cui lotta il poeta di Olonec, deve concludersi con il “regno dei muzik”. Il contadino, ora oppresso e “crocefisso”, sarà l’eroe del futuro. Arriverà il giorno in cui il popolo di aratori e mietitori si libererà dal giogo dei sazi e si farà portavoce di nuovi valori spirituali. In questo Kljuev è influenzato dalle concezioni di quei populisti russi, che negli anni 1901-02 si riuniscono nel partito dei Socialisti Rivoluzionari (i cosiddetti Esery).Sono state evidenziate le posizioni della dottrina slavofilo-populistica nelle concezione e nell’opera kljueviana : la presunta identità tra classe contadina e popolo, percepito come organismo unitario, l’idealizzazione della vita patriarcale.(3) Per rendere più vivo il suo stile, Kljuev ricorre a elementi concreti della vita popolare e non disdegna termini tecnici e vocaboli legati alla vita concreta della campagna: il vernino (grano che cresce d’inverno), la nassa (rete a forma di cesta per la pesca), il siluro (pesce d’acqua dolce).
Queste sue concezioni si riflettono anche nella vita quotidiana, perfino nell’aspetto esteriore. Compare nei salotti vestito alla foggia tradizionale: la casacca pieghettata, la camicia a collo alto e con la chiusura laterale, gli stivali alti. Volendo sottolineare il proprio legame con la “madre terra”, la propria “origine contadina”, con l’innegabile talento d’attore si fa simile agli eroi della sua lirica (mietitori, aratori, etc.). Acquista la fama di “cantastorie” (skazitel’) per il suo talento di declamare versi. Anche il suo appartamento pietroburghese viene modellato nello stile dell’izba. (5)
Nella sua brama di parlare con la “voce del popolo”, Kljuev approda al folclore. Nella sua poesia entrano pensieri, tradizioni e favella della campagna russa. Si ingegna di passare dalla lingua letteraria alla lingua della tradizione orale. Lentamente scompare anche il Kljuev letterato, prende il suo posto il Kljuev bardo, conoscitore e raccoglitore della produzione popolare. Gli elementi letterari e quelli folcloristici si uniscono in maniera duplice : da un lato egli stilizza i propri canti, cercando di assimilarli al prototipo del folclore, dall’altro riveste di una forma letteraria i componimenti popolari. Questi due metodi si fondono continuamente l’uno nell’altro. La religiosità di Kljuev è un sentimento autentico e profondo, che ha poco in comune con la fede ortodossa. Egli si allontana dalla Chiesa russa come istituto ufficiale. Non a caso egli si accosta al fenomeno delle sette. Dimostra particolare interesse per i “chlysty”, i flagellanti, e gli “skopcy” (sing.”skopec”), i castrati. Frequenta le “navi” (le comunità) dei “fratelli colombi” (i settanti), partecipa ai loro riti. Il misticismo di questi gruppi si unisce a una forte carica erotica, come dimostrano le ultime tre poesie presentate.
È opportuno soffermarsi sia pure brevemente sul rapporto che lega Kljuev a Sergej Esenin. È un rapporto intenso, che nasce da una comunanza di interessi e di ispirazione poetica. È noto che anche Esenin inizia la sua carriera letteraria come “bardo contadino”. Il 24 aprile 1915 Esenin scrive al poeta di Olonec : “Caro Nikolaj Alekseevic, ho letto i Vostri versi…e non posso non scriverVi. Anch’io sono contadino e scrivo come Voi, ma nella mia lingua di Rjazan’…Vorrei discorrere con Voi di molto, ma “attraverso il veloce fiumicello, il buio boschetto non arriva la vocina”…”(6) Tra i due poeti si istaura un’amicizia tenera, che ben presto sfocia in un vincolo affettivo più serio. Tra gli epiteti affettuosi che Kljuev conia per Esenin v’è “giovinetto dei salici” (verbnyj otrok), che rievoca la “domenica dei salici”, cioè la domenica delle palme. (7) Fin dai primi passi di Esenin nella carriera poetica, Kljuev lo aiuta a orientarsi nel complesso ambiente letterario pietroburghese e cerca di proteggerlo dall’influenza “corruttrice” della cultura cittadina. Condivide con lui la propria esperienza, discute con lui delle sue nuove opere. Nell’autunno 1915 i due sono tra i principali artefici di “Krasa” [Beltà], gruppo dei poeti contadini, che di lì a poco confluirà in “Strada” [Mietitura]. Tra il 1915 e il 1917 sono inseparabili: si mostrano sempre in coppia nei salotti e alle serate letterarie. Ma nel 1918 il rapporto inizia a deteriorarsi per divergenze artistiche: se Kljuev rimane radicato alla cultura arcaica ed agreste, Esenin si volge sempre più alla raffinata cultura cittadina. Appresa la notizia del suicidio di Esenin, avvenuto nel 1922 in un albergo moscovita, Kljuev dimentica tutti gli screzi e si precipita da Olonec a porgere l’estremo saluto all’amico, a cui dedicherà l’accorato poema “Plac o Esenine” [Pianto per Esenin]:

Mi sdraierei con te in una bara rispettabile,
  In sabbie gialle, non con una fune al collo!..
  È forse vero che nei sentieri russi
  Crescono fiori più azzurri dei tuoi occhi ?

* * *
Kljuev crea un originale stile tra il lirico e l’epico, che arricchisce la letteratura russa (7). Nelle opere migliori egli riesce a riprodurre la freschezza della favella orale. Le sue sono le opere non tanto di un bardo popolare, come pretende di mostrarsi, quanto di una persona colta e raffinata, non troppo lontana da quella cultura cittadina e intellettuale a cui egli si contrappone con forza. Il poeta di Olonec conosce perfettamente non solo la cultura libresca e la tradizione orale del proprio paese, ma anche le letterature e le arti europee. Egli non proviene dal popolo, ma, al contrario, perviene ad esso in età matura sotto l’influenza delle tendenze romantiche e populistiche della società russa degli inizi del Novecento.

Note

1) Vecchi credenti, o “scismatici”, dissidenti della Chiesa ortodossa russa.Lo scisma nacque nel XVII sec. come dissenso alla riforma introdotta dal patriarca Nikon.
2) Kulak, contadino ricco, su cui si abbatté la scure del regime sovietico negli anni ’20 e ’30.
3) A. N. Zacharov, “N. Kljuev”, in Russkie pisateli – biobibliograficeskij slovar’ [Scrittori russi – dizionario biobibliografico], Moskva, 1990, Vol. I, p. 344.
4) K. Azadovskij, “O ‘narodnom poete’ i Svjatoj Rusi” [Di un ‘poeta nazionale’ e della Santa Russia], in “Novoe literaturnoe obozrenie”, N.5-1993, p.92.
5) K. Azadovskij, Nikolaj Kljuev, Leningrad, 1990, p.120.
6) Citato in S. Esenin, Sobranie socinenij [Raccolta delle opere], Minsk, 1992, vol. 2, p.325. Rjazan’, situata nella Russia centro-meridionale, è la città natale di Esenin.
7) Nella tradizione slavo-orientale, la domenica delle palme è diventata “domenica dei salici” (vérbnoe voskresén’e), in quanto la palma e l’ulivo sono pressoché assenti in quelle terre (e al contrario è diffuso il salice).

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