a cura di Paolo Galvagni
Ogni poeta sincero – per la maggior parte coscientemente – è rivolto alla morte. In ogni istante è attirato in questa direzione. Questa tendenza interiore diventa consueta – quasi come la tensione muscolare, difficilmente percepibile. Il tradimento di un amico, della moglie, le varie difficoltà della vita non svolgono nessun ruolo. Al contrario, una magnifica giornata di sole, la quiete bucolica – ecco il principale pretesto per la folle malinconia. Avvolto dalla morte, il poeta è pronto a sperimentare il colpo celato dell’annichilimento. Vuole mostrare la realtà fuori da ogni idea. Se questo metodo gli riesce, egli cade nel vuoto, nel silenzio, inteso come l’unico materiale poetico di valore. Il principio è l’assenza, da cui proviene tutto, anche l’emozione lirica. Appunto attraverso una simile circostanza appare la spietatezza dell’autore per la metafora, che lo raggiunge fulmineamente, alla quale egli strappa la scorza di una banale chiarezza. Gli esempi sono molti. Tutti confermano la stessa cosa: la poesia deve stringere un accordo matrimoniale con l’oscuro silenzio.
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